#invasionidigitali a Buonconvento: invasione compiuta!

Il 27 aprile 2013 è stata una giornata speciale.
Per me,  per Francesco e per gli altri partecipanti  all’iniziativa #invasionidigitali.
Perché dopo tanta attesa, finalmente le #invasionidigitali sono atterrate a Buonconvento e, nonostante un’affluenza decisamente minore di quella prevista (ahi, il meteo birichino…), ci hanno permesso di scoprire – non solo da turisti – il patrimonio urbanistico, antropologico ed i beni preziosi custoditi nel piccolo borgo in provincia di Siena. 
 
Sebbene l’appuntamento fosse per le 10.30, già dalle prime ore della mattina noi eravamo pronti già con smartphone, macchina digitale e soprattutto con tanta voglia di trasmettere il nostro amore per la cittadina della Val d’Arbia. 
Innanzitutto è doveroso ringraziare il Comune di Buonconvento per l’accoglienza che ci ha riservato tramite il Vicesindaco Massimo Bonucci e l’assessore alla cultura, alle manifestazioni ed agli eventi Elisabetta Borgogni, che ci hanno dato il benvenuto e si sono trasformati in ciceroni specialissimi  accompagnandoci lungo le vie del paese. Ed un grazie particolare a  Fabio Carnelli e ad Agnese Fanti, responsabili per la coop. Lagodarte del Museo della Mezzadria senese e del Museo d’Arte Sacra della Valdarbia. 
Alle 10.45, perfettamente in linea con la tempistica prevista, ci siamo ritrovati accanto al Teatro dei risorti ed  abbiamo dato inizio alla “passeggiata nella storia” entrando nel nucleo medievale di Buonconvento attraverso la magnifica Porta Senese per poi farci avvolgere dall’ombra soffusa che permea i chiassi (vecchi vicoli in gran parte ancora lastricati con il selciato medievale).
Impossibile non essere affascinati dalla struttura imponente e ben conservata delle mura, rimanere sorpresi dalle piazzette, ascoltare con interesse, dalla voce di chi ci abita, tanti piccoli aneddoti: abbiamo perfino scoperto che “granocchiai” (ovvero, cacciatori di ranocchie) è il soprannome degli abitanti di Buonconvento: non per nulla il paese sorge alla confluenza del  torrente Arbia con il  fiume Ombrone…
Come avviene in quasi tutta la Toscana,  qui il “campanile” è molto sentito e nel mese di settembre, in occasione della Sagra della Valdarbia i  quattro quartieri in cui il paese è suddiviso si “sfidano  a duello”  impugnando come armi di combattimento  ricette e piatti poveri ma prelibati, che vengono serviti sui tavoli allestiti lungo i vicoli e nelle piazzette.
Continuando abbiamo avuto modo di fotografare il Palazzo del Podestà con la  torre dell’orologio e la facciata ricoperta con ben 25 stemmi in pietra che ricordano i diversi podestà che nel medioevo avevano il governo del paese, siamo entrati nella Chiesa di San Pietro e Paolo, rimaneggiata nel settecento, dove ancora trovano ospitalità due notevoli Madonne di Matteo di Giovanni e di Pietro di Francesco Orioli (la maggior parte del patrimonio artistico delle chiese è stato trasportato nel Museo d’Arte Sacra della Valdarbia, per preservarlo dagli attacchi de tempo, dall’incuria e… dai ladri!). Il Museo è ospitato presso Palazzo Ricci-Socini, chiaro esempio di stile liberty floreale, una corrente artistica che agli inizi del ‘900 aveva trovato  terreno fertile a Buonconvento. 
Al termine della passeggiata lungo il paese, Fabio Carnelli ci ha accolti nel Museo della Mezzadria senese, uno dei musei del territorio gestiti da Fondazione Musei di Siena. 
Qui, varcata la porta che immette in quella che era la vecchia cantina del Palazzo del Taja, dove trovano ancora collocazione le vecchie botti ed i grandi tini per la produzione del vino,   entriamo a passo felpato in un mondo che oramai non esiste più e che è stato la colonna sociale, economica e produttiva della Toscana agricola fino agli anni ’60.
 
La Mezzadria era un sistema economico in cui il proprietario metteva a disposizione del contadino il proprio terreno, dividendo a metà il ricavato (da qui la parola “mezzadro”). Su tutto imperava la figura del Fattore, che faceva da raccordo tra proprietario (che viveva in città e trascorreva solo qualche giorno all’anno nella villa immersa nei suoi possedimenti) e la famiglia mezzadrile, estesa a più nuclei familiari legati da loro da vincoli di parentela ed a sua volta coordinata da un “capoccia”. 
Nel Museo sono stati preservati oggetti di uso quotidiano, strumenti agricoli che venivano utilizzati prima che la meccanizzazione e l’introduzione delle macchine agricole avesse luogo nella campagna; addirittura all’interno del Museo è stata collocata una grande macchina per la trebbiatura.

L’esposizione museale segue un percorso che si snoda attraverso i diversi momenti della vita dei mezzadri: se al piano inferiore è dato ampio spazio alla produzione, al lavoro, alla gestione del patrimonio agricolo, salendo la rampa che conduce al secondo piano siamo entrati in una dimensione più intima, raccolta.

 

Emblematiche le scarpe vecchie, risuolate, sfondate, che si incontrano a metà della rampa: le scarpe erano infatti l’unico bene che i mezzadri, autosufficienti per tutte le necessità quotidiane, erano costretti ad acquistare e che erano quindi considerate un bene prezioso, da usare solo quando davvero era davvero indispensabile, in inverno o durante le feste comandate in cui si andava alla Chiesa. 

Arrivati al secondo piano “entriamo” nella casa-tipo di un mezzadro: in una ricostruzione fedele sono riprodotte la cucina con il grande focolare, vero cuore pulsante della casa, la stanza da letto con il pagliericcio, il vasino da notte (non c’erano mica le toilette, signori!), il ripostiglio e la dispensa: qui stoviglie e suppellettili sono in mostra assieme ai “tesori” delle donne: un grande  telaio dove venivano tessute le pezze di lino e di cotone che sarebbero poi state trasformate, grazie alla macchina da cucire, in lenzuola, vestiti, tovaglie.

L’attenzione del nostro gruppo di #invasoridigitali (e dei piccoli #invasori soprattutto) è stata catalizzata da uno strano contenitore pieno di cenere: Fabio ci ha spiegato che quella era una “lavatrice” ante litteram e che grazie alla cenere e all’acqua – che unite in determinate proporzioni producevano la lisciva –  e ad un lungo e paziente lavoro di filtraggio (sempre compito delle donne, ovviamente…) i panni venivano puliti dal sudicio.
Ancora al secondo piano troviamo il calendario delle stagioni, dove sono illustrate le diverse attività che un mezzadro doveva svolgere nel corso dell’anno. Prima di lasciare il Museo, Fabio ci “regala” la possibilità di visitare quella che era la vera cucina del vecchio Palazzo del Taja, normalmente non inserita nel percorso museale: un grandissimo focolare, con le panche messe tutte attorno dove nelle fredde sere invernali i contadini si sedevano  per scaldarsi e per “stare a veglia”, ascoltando storie.

Nel pomeriggio #invasionidigitai ha avuto un piccolo prolungamento con il Museo d’arte sacra della Vadarbia, la cui sede è presso Palazzo Ricci Soccini, che merita di essere  visitato anche per i notevoli  interni decorati in stile Liberty: il Museo è talmente bello che è a sua volta un’opera d’arte.

 

Qui è conservata la collezione di arte sacra proveniente dalle chiese di Buonconvento e delle sue frazioni, con tele e tavole – tra gli altri – di Duccio di Buoninsegna, Pietro Lorenzetti, Sano di Pietro, Matteo di Giovanni e numerosi oggetti liturgici preziosi. 

Allora… #invasionedigitale? Compiuta!

Claudia Boccini

Curiosa di novità e di tendenze sociali e culturali, il mio karma è il viaggio

4 Comments

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    amisaba Maggio 02, 2013

    Che bel racconto Claudia! Sono molto vicina a Buonconvento come ben tu sai; quando ci andrò seguirò di sicuro questo vostro itinerario 🙂

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  2. Avatar
    Gua-sta Blog Aprile 29, 2013

    Che bella la tua invasione! Peccato che fosse concomitante con la mia perchè avrei voluto esserci… Ma spero di poter visitare prima o poi il tuo amato Buonconvento!

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