Pane quotidiano

foto scattata all’interno del Museo della Mezzadria senese di Buonconvento
Nel corso dei viaggi in giro per l’Italia, oltre a scoprire le caratteristiche che rendono unici i luoghi che visitiamo, come i musei, i monumenti, gli stili di vita, le abitudini sociali, ci divertiamo a conoscere (meglio, ad assaggiare!) i diversi tipi di pane locale,  la base della nostra alimentazione mediterranea, che assume valenze religiose (“spezzare il pane” è il gesto che fece Cristo nell’ultima cena), che diventa simbolo della conoscenza (“il pane della sapienza”), metafora del carattere degli uomini (“buono come un pezzo di pane”) o anche allegoria del sacrificio (“levarsi il pane di bocca”) o della schiettezza (“dire pane al pane e vino al vino”).
Il pane è – almeno per noi italiani – il “cibo” per eccellenza, quasi sinonimo atavico di “casa”, di “famiglia” e il solo parlarne fa immediatamente visualizzare un desco imbandito dove, al centro, è posta una forma fragrante di pane che attende di essere affettata e condivisa. Alimento di benestanti e di poveri, da sempre.
Mia nonna Paolina raccontava spesso di quando le donne di Buonconvento, che non potevano contare – tranne casi eccezionali – su di un forno casalingo, una volta a settimana mescolavano con gran lena acqua, farina e lievito e mettevano poi il prezioso impasto a lievitare nella madia (*), coperto da teli e controllato con la stessa cura che si sarebbe avuta  nell’accudire un bimbo piccino, fin quando era pronto per essere portato al forno comunale. Per riconoscere il proprio pane, che avrebbe sfamato fmiglie numerose e mariti affaticati dal lavoro,ognuna di loro aveva l’abitudine di imprimere nell’impasto ancora morbido un disegno, un simbolo, una sigla.
La nonna raccontava anche di quando il nonno boscaiolo portava  con sé per desina – parola toscana che definisce l’azione di sedersi a tavola e mangiare, non importa se pranzo o cena –  ben avvolte in un fagotto di stoffa pulita, tre fette di pane e qualche noce e, se era festa o c’era qualche centesimo in più, anche una fetta di cacio. Ciò che importava non ra il companatico, ma il pane.
Il pane è l’alimento che unifica ed al contempo caratterizza le diverse Regioni: ciascuna ha la sua specifica varietà, prodotta con farine più o meno speciali, con o senza sale, con aggiunta di grassi, spezie, semi. Ho da poco scoperto, grazie alle informazioni del sito “Panealpane.com“, che in Italia se ne sfornano oltre 250 tipi diversi e di ognuno ne vengono ulteriormente prodotte infinite varianti: basta spostarsi da un paesino all’altro che la ricetta cambia, assume caratteristiche uniche: può cambiare il lievito (chimico o di pasta madre), la farina (di semola o di grano tenero come spesso accade, oppure di grano duro in Puglia, di segale in alto Adige/Sudtirolo, mescolata con le patate nell’Abruzzo centrale o con il mais in Emilia) o con la presenza o meno del sale (il pane “sciocco” è tipico della Toscana, dell’Umbria ed anche di parte delle Marche).
Il pane in Italia è buono sempre ed ovunque, anche se ci sono dei pani così particolari che raggiungono l’eccellenza ed ottengono perfino la DOP o l’IGT (denominazione di origine protetta e indicazione geografica tipica), che ad oggi sono state concesse al pane “casereccio” di Genzano nel Lazio, al pane di Altamura in Puglia, al pane di Matera ed alla coppia ferrarese (il pane che assomiglia a due ferri di cavallo incrociati).
Il senso reverenziale che circonda il  pane, che “non se ne deve buttare una briciola sennò si fa peccato”, è talmente forte che ovunque la cucina popolare ha trovato il modo per riutilizzarne gli avanzi. In Toscana, tanto per dire, è proprio dagli avanzi che hanno origine le ricette più interessanti, tipiche e gustose della Regione. Cosa sarebbe una panzanella senza pane raffermo? O la pappa al pomodoro che Rita Pavone nelle vesti del terribile Giannino Stoppani (detto anche Gianburrasca, ma chissà chi di voi se lo ricorda…) esaltava nella canzone diventata famosa negli anni ’60? E vogliamo parlare della ribollita, che senza pane sarebbe solo un minestrone con i fagioli? E l’acqua cotta? Un brodino di verdure con l’uovo, ecco cosa mangeremmo!
Nella memoria associo spesso i viaggi passati agli odori soavi del pane appena sfornato, ai ricordi delle botteghe dei fornai con cumuli di sfilatini, filoni, panini dorati in bella mostra, al sapore di quel pezzetto di pane caldo sbocconcellato in attesa di un treno o di un bus. E spesso, per abitudine, riporto a casa con me il pane tradizionale del luogo che sto visitando (in Sudtirolo è d’obbligo riportare lo Schüttelbrot, il pane di segale croccante con cumino, finocchio e coriandolo che può essere conservato per lungo tempo, retaggio di quando i malgari andavano sull’Alpe per mesi senza possibilità di rifornimento, oppure la pagnotta della Val Pusteria, dal sapore unico che racconta di baite e genuinità ed è complemento ideale di speck e formaggi saporiti). Ed ogni volta che lascio la mia adorata Toscana, l’ultima sosta che faccio è proprio dal fornaio, per riportare a Roma almeno un paio di “fili” di pane, che hanno il pregio di essere senza sale e di mantenersi almeno per una settimana (li surgelo anche, tagliati a fette).
Sono d’accordo con chi afferma che si può viaggiare seguendo i sapori: il viaggio lungo la strada del pane è un viaggio infinito, capace di riservare sorprese continue. Un sogno nel cassetto (ancora uno, che va ad aggiungersi alle #100cosedafareprimadimorire) che ho da parecchio tempo è quello di visitare un panificio per ogni regione d’Italia, per scoprire i diversi processi di lavorazione che sono alla base della produzione del pane. Chissà, magari prima o poi riesco a realizzarlo, questo desiderio!
Ma dite la verità: ora vi ho fatto venir fame di pane, vero?
Seguite i link che ho inserito e troverete alcune ricette dei piatti toscani di cui vi ho parlato, tratti da Cookaround: sono tutti semplici e potete prepararli in poco tempo… è sufficiente avere a disposizione un po’ di verdure e, ovviamente, del pane. A proposito, qual’è il pane tipico della vostra Regione?
Claudia Boccini

Curiosa di novità e di tendenze sociali e culturali, il mio karma è il viaggio

7 Comments

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    emanuela bonini Giugno 24, 2013

    Interessantissima lettura Claudia e belli i tuoi racconti di vita familiare, mi son sempre piaciuti. Ho la fortuna di avere ancora viva mia nonna che spesso amo ascoltare quando racconta delle usanze e abitudini di quando era piccola lei.
    P.S. bella l’abitudine di portare a casa, come ricordo di viaggio del pane!
    Un abbraccio
    Emanuela

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    Shanta Giugno 24, 2013

    Questo commento è stato eliminato dall’autore.

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    Lallabel Giugno 24, 2013

    una delle cose che amo dell’Italia è la grande varietà di pane. I nostri parenti argentini quando vengono per la prima volta restano sempre stupiti e affascinati da quanti tipi di pane ci sono (e ovviamente ne assaggiano la minor parte).
    Che spettacolo, io ne sono golosissima, ahimè.
    Tra poco, se Dio vuole, faremo il forno a legna a casa nostra… e lì, apriti Cielo!

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      Shanta Giugno 24, 2013

      se vuoi, ho anche il lievito madre…

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    Shanta Giugno 24, 2013

    già, il vero problema oggi sono le diete… però una fetta ogni tanto, caldissima ed appena sfornata… me la regalo comunque!

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    Gua-sta Blog Giugno 24, 2013

    Eh sì a quest’ora parlare di pane…. E’ con rammarico che a casa mia è sparito del tutto a causa di diete e intolleranze varie. Ormai vivo del ricordo! Conosco molti dei pani di cui ha parlato e a loro modo sono tutti fantastici. E il profumo del pane fresco – assieme a quello del caffè – è uno dei miei preferiti!

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