Nel villaggio di Ban Nam Chiao l’armonia è possibile

Ci sono realtà del mondo in cui l’accoglienza, la solidarietà, l’armonia tra uomini e donne che hanno provenienza geografica e fede religiosa diversa è un sogno possibile. E, forse, non è un caso che uno di questi luoghi si trovi proprio in Thailandia, Terra del sorriso e del garbo gentile. Se avete avuto la pazienza di leggere il (lunghissimo) post Un lungo itinerario di viaggio in Thailandia, in cui vi ho raccontato per sommi capi il percorso e le tappe del press tour curato dall’Ente Nazionale dei Turismo Thailandese a cui ho partecipato, saprete già che ho avuto il piacere e l’onore di incontrare la comunità del villaggio di Ban Nam Chiao, piccolo agglomerato urbano sorto ai bordi di un grande canale navigabile ha circa 8 chilometri da Trat, nell’estremo sud-est della Thailandia.

Non arrivo a dire che il villaggio di Ban Nam Chiao sia il Paradiso in terra, quest no, ma posso affermare che si tratta di un ottimo progetto funzionante di convivenza ed un esempio di come una comunità composita può riuscire a costruire qualcosa di utile insieme. Il villaggio di Ban Nam Chiao è parte di uno dei tanti progetti reali di sviluppo dedicati alle comunità più piccole o decentrate, che vengono incentivate a trovare nelle proprie tradizioni e nei propri saperi ‘materiale‘ da trasformare in attività imprenditoriale.

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Il villaggio di Ban Nam Chiao ha scelto di valorizzare la convivenza tra famiglie di diversa provenienza, le capacità artigianali delle donne del villaggio ed il lavoro di pescatori dei suoi uomini. E con tutto ciò ha creato un progetto di turismo sociale ed eco-sostenibile, l’HomeStay, in cui il visitatore può calarsi per una giornata (o anche più) nella vita del villaggio e apprendere tecniche di artigianato, aiutare a coltivare gli orti, partecipare ad escursioni con i pescatori di granchi o in bicicletta, assaggiare la cucina locale ed imparare nuove ricette oltre a poter dormire per una notte nelle abitazioni su palafitte messe a disposizione delle famiglie locali. Il tutto ad un costo irrisorio, almeno per noi europei: a partire da 990 Baht a persona, poco più di 25 euro.

Attenzione, però: non pensate ad una ricostruzione fittizia o fasulla. Il villaggio di Ban Nam Chiao è un vero villaggio, le persone che lo abitano e che partecipano al progetto di HomeStay  sono uomini e donne assolutamente nornali, che si sono volute mettere in gioco con questa iniziativa per curiosità, interesse, per trarne un ricavo economico aggiuntivo.

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Nel villaggio di Ban Nam Chiao i musulmani collaborano con i cinesi e i thailandesi, donne dal bel volto velato cucinano – e ridono, scherzano, spettegolano, oh, quanto spettegolano! – insieme a belle donne dai lunghi capelli neri. Gli uomini sono tutti pescatori e decine di barche di tutte le dimensioni, colorate e decorate da drappi augurali, sono ferme a riva in attesa che la marea consenta loro di prendere il largo. A Ban Nam Chiao, per evitare qualsiasi forma di discussione, ogni pescatore si specializza in uno specifico tipo di pesca e nessuno degli altri invaderà il suo campo: un principio non scritto afferma che “nessun pescatore di granchi sarà mai un pescatore di orate”. Un metodo semplice ed equilibrato che consente di garantire a tutti la possibilità di sostentarsi.

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Per me (e per tutti i visitatori che partecipano al progetto di Homestay), la giornata al villaggio di Ban Nam Chiao è iniziata salendo – stavo per scrivere ‘scalando’ – il caratteristico ponte in legno dall’inaudita forma e pendenza, che connette le due rive del canale su cui sorgono le case di Ban Nam Chiao: collegate da un nastro di cemento ricoperto da una tettoia azzurra, vista dall’alto la piccola strada ricorda un serpentone blu! L’appuntamento è con le donne del villaggio, le vere protagoniste del progetto di Homestay: le presentazioni vengono accompagnate da piacevolissime  bevande rinfrescanti realizzate con succhi ed estratti casalinghi, il tempo di qualche breve chiacchiera ed è già tempo di assaggiare l’ottima e piuttosto piccante cucina locale, preparata al momento da alcune signore ben contente di mostrare procedimenti, tecniche di cottura ed ingredienti.

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Un breve tour per guardare le abili artigiane trasformare foglie di palma “atap” in utili e graziosi cappelli, chiamati  ‘Ngop Nam Chiao’ – ne vengono prodotti di diverse fogge a seconda dell’uso che se ne farà, larghi a pagoda per i contadini, più piccoli e con una sola tesa quelli per i pescatori, con un bordo ristretto per chi lavora in mezzo alle mangrovie – ed è già tempo di salire a bordo di una delle veloci  barche a “coda lunga” (long tail boat, così dette perché l’elica del motore viene montata su una specie di tubo che sporge notevolmente al fuori dallo scafo) per una entusiasmante crociera lungo i canali delle mangrovie, gli stessi che i pescatori di Ban Nam Chiao percorrono tutti i giorni per le loro battute di pesca. Il canale su cui navighiamo è molto ampio, l’acqua è piuttosto fangosa a causa dei detriti delle abbondanti piogge e sui due lati c’è un bosco fittissimo di mangrovie.

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Le mangrovie costituiscono un ecosistema ‘sentinella’ ed hanno un ruolo importantissimo nell’economia della collettività: vivono in acqua salmastra e trattengono l’erosione del terreno, contribuiscono alla produzione di ossigeno, forniscono legname e tra le loro radici aeree trovano riparo e si riproducono i pesci. Sono piante utili ed è simbolico il piccolo rito che celebriamo: l’imbarcazione accosta accanto ad una lingua di sabbia e alcuni di noi piantano delle nuove mangrovie che, speriamo, attecchiranno e contribuiranno a preservare questo luogo dotato di grande suggestione.

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Riprendiamo la navigazione lungo il canale, un paio di curve e arriviamo all’estuario. Sullo sfondo le capanne di pesca che delimitano le zone di coltivazione dei mitili ed oltre la sagoma massiccia, avvolta dalle nuvole, dell’isola di Koh Chang. Con noi in barca oltre al pescatore c’è anche il figlio, un bambinetto che non avrà più di 8-10 anni, particolarmente attento nel suo ruolo di aiuto-marinaio.

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Una volta raggiunta la zona di allevamento dei granchi a lingua lunga (non conosco il nome, qui sotto ho messo una foto e se qualcuno sa dirmi come si chiamano in termini scientifici, grazie in anticipo!) si tufferà anche lui insieme al suo papà per andare a raccogliere gli strani crostacei. Fa caldo – almeno 34 gradi – tuttavia sull’estuario spira un bel venticello che rende ancor più piacevole l’esperienza.

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E’ tempo di rientrare al villaggio di Ban Nam Chiao per incontrare altre artigiane e per imparare a fare i crackers di riso al vapore: mi sono divertita tantissimo, è una tecnica curiosa che utilizza pentole sovrapposte e tessuto di cotone teso sull’imboccatura della pentola, su cui verrà deposto l’impasto: semplificando parecchio, è come fare una crepes, ma a vapore. A mio favore, devo dire che una volta cotti sono riuscita a staccare i miei cracker agevolmente (è la parte più complicata dell’intera procedura) e a disporli su una grata dove si sarebbero asciugati con il calore dei fornelli.

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Siamo abituati a pensare alla Thailandia come ad una meta di vacanze al mare, di vacanze culturali o a contatto con la natura. Il progetto turistico che coinvolge il villaggio di Ban Nam Chiao è diverso: è un turismo basato sulla comunità, apprezzato da chi ha a cuore le specificità sociali e la sostenibilità ambientale, una meta diversa per un turismo consapevole.

Informazioni utili:

  • per arrivare da Bangkok a Trat, il mezzo più rapido è l’aereo (seguendo il link: maggiori informazioni sull’aeroporto di Trat);
  • per arrivare al villaggio di Ban Nam Chiao da Trat, vi conviene prendere un taxi o una macchina con autista;
  • nel villaggio di Ban Nam Chiao è vietato bere alcool, l’utilizzo della carne di maiale. E’ bene vestirsi con abiti comodi e ‘coprenti’ (pantaloni lunghi, maglietta a mezze maniche o camicia) per rispetto degli usi locali  ma soprattutto per via delle zanzare, immancabili nelle zone con mangrovie.
Claudia Boccini

Curiosa di novità e di tendenze sociali e culturali, il mio karma è il viaggio

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