Il Museo del Bardo a Tunisi: una visita che non si dimentica

Ciao a tutti da Francesco e, per chi legge per la prima volta La Bussola e il Diario, benvenuti! Claudia ha preferito lasciare a me il compito di raccontarvi la visita al Museo del Bardo a Tunisi perché, ogni volta che ha provato a scrivere su questa meravigliosa ed emozionante esperienza inizia a commuoversi. A dir la verità, anche quando eravamo nel Museo ha avuto spesso gli occhi lucidi, da quando siamo scesi dal bus che ci ha portato nel centro della città dall’hotel dove eravamo alloggiati, l’Hotel Regency di Gammarth (una frazione della capitale tunisina tra il mare ed il lago salmastro Sabkhet Arina), fin quando siamo ripartiti con destinazione la Medina di Tunisi. Insomma, meglio che ci pensi io a raccontarvi, con obiettività, il nostro incontro con un Museo culturalmente affascinante e al tempo stesso simbolo della Nazione tunisina.

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Perché il Museo del Bardo è un contenitore eccezionale di mosaici ed opere d’arte – possiede la la più ricca collezione di mosaici romani al mondo –  inserito all’interno di un palazzo in stile arabo-ottomano che già era il Palazzo del Bey di Tunisi al tempo della dominazione ottomana a cui è affiancata un’ala modernissima tuttavia, il 18 marzo 2015, è stato anche lo scenario di un sanguinoso attacco terroristico in cui sono state assassinate 22 persone tra turisti e forze dell’ordine (oltre a due terroristi) e ben 45 sono state ferite. Tra i morti, 4 nostri connazionali. Di certo ricorderete bene anche voi le terribili immagini, trasmesse più e più volte da tutte le televisioni internazionali, di turisti che scappavano lungo le scale del museo aiutati da agenti mentre in sottofondo si sentiva il rumore degli spari. Un  capitolo doloroso della storia del nostro tempo.

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Da Museo oltraggiato e offeso, il Museo del Bardo si è trasformato nell’emblema della lotta spietata al terrorismo da parte del Governo tunisino: il Museo, il più importante della Tunisia ed il più visitato della Nazione, ha riaperto a solo un mese di distanza dal tragico attentato, un segnale forte e inequivocabile della volontà di operare in favore della democrazia e della massima sicurezza.

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Quindi capisco Claudia e la sua commozione (va bene, lo ammetto, anche io mi sono commosso, ma in modo più sobrio), perché quello che ti fa male al cuore è – oltre ovviamente alla consapevolezza di tante vite umane spezzate – il pensiero che un luogo deputato a preservare la conoscenza, aperto alla condivisione dei saperi e destinato a far conoscere la capacità degli uomini di creare il bello, sia diventato, suo malgrado, un memoriale alla stupida atrocità umana. E’ un pensiero lacerante, che esplode con violenza scatenando mille diverse emozioni quando si è davanti alla targa in memoria delle vittime  o al mosaico nel giardino del museo, dove – utilizzando il medesimo stile dei mosaici romani – sono stati riprodotti i volti ed i nomi dei caduti.

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Dopo l’attentato al Museo del Bardo, il Governo Tunisino ha organizzato in modo stringente i controlli in tutto il Paese, sono frequenti i check-point ed i posti di blocco, i metal detector sono diventati un elemento consueto nei maggiori luoghi di affollamento e transito turistico, come è d’altronde successo anche nelle città europee colpite da altrettanto odiosi attentati terroristici, da ultime Parigi e Bruxelles.

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La Tunisia ha lavorato in modo serrato per rafforzare non solo l’idea astratta, ma la reale sicurezza dei visitatori e dei turisti: anche al Museo del Bardo, prima di entrare, abbiamo dovuto passare body scanner e metal detector, far visionare il contenuto di borse e zaini. Scusatemi se sono stato prolisso ma credo che questa premessa, lunga e probabilmente noiosa, fosse indispensabile per introdurre il Museo nazionale del Bardo di Tunisi, che abbiamo visitato sabato 16 aprile 2016.

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Una volta superati i controlli si entra nell’ala nuova del Museo, realizzata su progetto dello studio parigino Codou-Hindley in associazione con l’architetta tunisina Amira Nouira: ad accogliere i visitatori un’ampia hall dove si trovano la biglietteria, i servizi e il piccolo bookshop. Il colore dominante è il bianco, i materiali il cemento e il cristallo: un ambiente museale moderno, di respiro internazionale, con un enorme mosaico che occupa tutta la parete di fondo pronto a dare il benvenuto al visitatore.

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Dopo aver attraversato un suggestivo tunnel di mattoni a vista si accede alla prima sala ed alla prima sorpresa del Museo: circondato da pannelli musivi appesi alle pareti, nel centro della sala è inserito un antichissimo fonte battesimale ad immersione. La Tunisia, nelle cui vene scorre sangue di avi berberi ed è da secoli un Paese musulmano, nella sua storia ha visto passare fenici, romani, bizantini, vandali, normanni e andalusi e ciascuno di loro ha lasciato in questa terra bella e piena di sole reperti storici, archeologici e artistici ma anche usi, parole, fisionomie intense che racchiudono tutti i volti del Mediterraneo.

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Una scala porta rapidamente al secondo piano e da qui si accede all’ala storica del Museo, realizzata appunto in quello che era il palazzo del Bey: rimarrete stupiti, perché piani temporali diversi si sovrappongono e forme, colori, immagini diventano un’unica scenografia in cui le statue romane, gli arazzi creati da minute tessere musive si mescolano con l’architettura orgogliosamente araba della struttura, con soffitti in stucco finemente lavorato oppure ligneo, lavorato in stile Muqarnas, da cui pendono incredibili lampadari di cristallo.

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E, ancora: colonne, uso generoso delle dorature a foglia d’oro, rivestimenti in marmo o ceramiche, di tanto in tanto finestre aperte sul giardino arricchite da vezzose inferriate in ferro battuto azzurro pavone. Insomma, un insieme magnifico dove l’arte di epoche diverse si completa e si esalta vicendevolmente senza mai creare confusione.

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Purtroppo per questioni di tempo abbiamo potuto visitare solo una decina di sale, tra cui la Sala di Sousse, la scenografica Sala di Cartagine e quelle (e qui, sì, mi sono commosso anche io) in cui è avvenuto l’eccidio: per scelta  sono state lasciate le lastre di cristallo delle teche perforate dai proiettili di kalashnikov, fa davvero male vedere la grandezza del foro, il cristallo spesso sbriciolato e, a pochi centimetri, un reperto romano di una perfezione rara e sublime.

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Il Museo del Bardo conserva inoltre l’unico ritratto del poeta e filoso latino Publio Virgilio Marone, l’autore del poema Eneide che tanto filo da torcere ha dato a generazioni di studenti liceali: un gioiello dell’arte dell’Africa romana, forse il più celebre di tra tutti quelli custoditi nel Museo. Accanto ai mosaici, per il quale va giustamente noto, sono esposti nelle sue sale reperti risalenti al periodo preistorico, punico-fenicio, romano, arabo-andaluso e una ricca collezione di arte islamica e africana. Da passarci una intera giornata, non solo un paio di ore.

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Davvero bello il Museo del Bardo. Davvero bella Tunisi e la Tunisia.

Informazioni utili

  • il nome Bardo deriva da una deformazione della parola spagnola Prado, quindi giardino, parco;
  • il Museo di trova in Rue Mongi Slim, angolo Route Nationale 7 – ci fermano poco distanti le linee tram-metro leggera 4 e 14 oppure si può prendere un taxi (informazioni ricavate via Google Maps, vi ricordo che noi ci siamo arrivati in bus nell’ambito del press tour in Tunisia organizzato dall’Ente del turismo tunisino e da Tunisair)
  • orari di apertura: dal 1° maggio al 30 settembre dalle 9.00 alle 17.00, nel resto dell’anno 9,30-16.30 (fonte: sito Museo del Bardo).
Claudia Boccini

Curiosa di novità e di tendenze sociali e culturali, il mio karma è il viaggio

2 Comments

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    Claudia Landoni Maggio 17, 2016

    noi abbiamo visitato questo museo prima dell’attentato e anche a noi era piaciuto molto! immagino l’emozione in più nel vederlo adesso… Comunque grazie Francesco per il tuo reportage. Hai visto Claudia? sta diventando bravino il ragazzo 😉

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      Claudia Boccini Maggio 17, 2016

      Ciao Claudia, rispondo io per Francesco (che ringrazia per l’apprezzamento): un Museo che tornerei a visitare anche domani, nonostante la commozione che mi scatena, è un compendium di storia, che da un senso agli anni trascorsi al liceo sui libri di greco e latino.

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