Il centro di documentazione del lavoro forzato nazista a Berlino

Il Centro di documentazione del lavoro forzato nazista di Schöneweide

Se siete atterrati all’aeroporto di Berlino Brandeburgo ed avete preso la S-Bahn per raggiungere il centro della capitale tedesca, siete passati vicino al Centro di documentazione del lavoro forzato nazista di Schöneweide probabilmente senza saperlo.

Il Centro è un luogo poco conosciuto e poco appariscente – tanto che se non si sa bene cosa sia, o cosa si sta cercando, rischia di passare quasi inosservato – che ha però l’inestimabile valore di testimoniare la vita, gli eventi e le difficoltà che dovettero affrontare i lavoratori coatti e gli internati militari italiani durante il regime nazionalsocialista.

Chi erano i lavoratori coatti?

Uomini e donne, lavoratori forzati civili o prigionieri militari, perfino i deportati nei campi di concentramento,  utilizzati come forza lavoro. I lavoratori coatti civili provenivano dai Paesi europei conquistati: molti arrivavano dall’Europa dell’Est (Polonia, Unione Societica), altri dal Belgio, dalla Francia, alcuni perfino dalla Cina. E dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, in tanti – per lo più militari fatti priogionieri dalla Wehrmacht –  arrivarono in Germania dall’Italia, per essere utilizzati anche loro come lavoratori ‘obbligati’ a vantaggio delle imprese tedesche.

Vennero impiegati come operai e forza lavoro schiavizzata a basso costo per far funzionare  pieno regime le fabbriche e le imprese tedesche (tra cui Siemens, Krupp, BMW, Daimler-Benz, giusto per indicare le più note anche oggi) ma anche come personale a servizio di aziende agricole, privati, istituzioni ecclesiastiche.

La guerra aveva una fame insaziabile di munizioni, componentistica elettrica, armamenti e molti degli operai  e delle maestraenze tedesche che prima lavoravano alle linee di montaggio erano state destinate al fronte. Serviva mano d’opera per far girare l’agonizzante economia di guerra tedesca e cosa c’era di meglio, di più economico, che non utilizzare i lavoratori coatti?

E’ stato appurato che durante il nazionalsocialismo furono utilizzati come lavoratori coatti quasi ventisei milioni di persone, tra civili, prigionieri, internati militari e deportati. Ventisei milioni. E non tutti riuscirono a tornare a casa, perché i ritmi di lavoro erano spietati, la vita difficile, la disciplina richiesta ferrea.

Quello di Schöneweide è solo uno dei tantissimi campi che ospitavano i lavoratori coatti nella Germania del Terzo Reich, strutture indispensabili per alloggiare la mole immensa di lavoratori coatti – in genere i campi (Lager in tedesco) venivano costruiti non troppo lontano dalle fabbriche – ed è l’unico ancora esistente nella zona di Berlino. Soprattutto, Schöneweide è uno dei pochi campi in cui sono evidenti le tracce della presenza di lavoratori e di internati militari italiani.

Centro di documentazione del lavoro forzato nazista di Schöneweide - sezione espositiva

Centro di documentazione del lavoro forzato nazista di Schöneweide – sezione espositiva

Rispetto ai famigerati campi di concentramento e di sterminio, i campi di lavoro forzato erano sicuramente meno tragici pur tuttavia i lavoratori (e le lavoratrici, perché anche le donne – sebbene più raramente –  potevano essere impiegate come operaie) venivano trattati poco meglio dei detenuti, soprattutto se avevano la sventura di arrivare dal Paese ‘sbagliato’.

Per il nazionalsocialismo, regime che aveva fatto della supremazia della razza la sua ideologia identitaria, non tutti i lavoratori coatti erano uguali. Se ai lavoratori coatti provenienti dal nord Europa veniva garantito un trattamento ed una retribuzione migliore, il peggior trattamento era riservato ai lavoratori polacchi ed ancor più ai russi, ritenuti di razza inferiore.

In base alla provenienza del lavoratore coatto, veniva assegnata una retribuzione settimanale (circa 44 Reichsmark per i lavoratori ‘occidentali’ e per i cechi, solo 5 Reichsmark a settimana per i russi), si decideva la libertà di movimento, la tipologia e l’orario di lavoro, la possibilità di poter avere giorni di riposo.

Gli internati militari italiani (IMI)

Tra gli ‘ospiti’ dei campi di lavoro coatto, la vicenda dei militari ed ufficiali italiani emerge per particolarità proprie. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i militari italiani allo sbando che vennero catturati dalla Wehrmacht furono inviati in Germania come prigionieri di guerra. Dall’essere alleati della Germania nazista gli italiani si ritrovarono improvvisamente dall’altra parte della barricata: non erano diventati soltanto dei nemici ma, assai peggio, dei traditori.

Nel frattempo Mussolini, dopo essere stato tradotto in prigionia a Campo Imperatore sul Gran Sasso e quindi liberato il 12 settembre 1943 grazie ad una operazione militare dei paracadutisti tedeschi, che arrivarono sulla montagna abruzzese con gli alianti, continuava il suo disperato tentativo di volgere a favore le sorti di una guerra oramai persa.

Con la nascita nel Nord Italia della Repubblica sociale, regime collaborazionista della Germania nazista, i militari italiani non potevano più essere considerati prigionieri di guerra: tutti quelli che si rifiutarono di aderire al Partito Fascista Repubblicano e di tornare a combattere come militari con il Terzo Reich o collaborare con le SS, vennero considerati ‘internati militari’.

Si parla di un numero complessivo di 650.000 tra soldati e ufficiali deportati dalla Wehrmacht in Germania e nei Paesi occupati e una volta assunto lo status di ‘internati militari’ venivano inviati nei campi di lavoro coatto. Tra questi, anche in quello di Schöneweide, che ospitò circa 400 nostri connazionali.

Centro di documentazione del lavoro forzato nazista di Schöneweide - manifesti d'epoca

Centro di documentazione del lavoro forzato nazista di Schöneweide – manifesti d’epoca

Va anche detto che oltre agli internati militari, costretti al lavoro coatto, molti civili italiani partirono più o meno volontariamente per la Germania per essere utilizzati come ‘lavoratori stranieri’ (Einssatzarbeiter o OT-Legionäre) al servizio della Germania Nazista, dopo essere stati reclutati  dall’Organizzazione Todt ed aver prestato giuramento di fedeltà.

L’importanza del Centro di documentazione del lavoro coatto – creato nel 2006 con il compito di sensibilizzare sulle vicende storiche e sulle dimensioni del lavoro forzato nazista – va ricercata nell’apprezzabile volontà della Repubblica di Germania di preservare la memoria di un periodo comunque scomodo della storia tedesca, le cui vicende sono state sepolte nell’oblio della memoria per lungo tempo.

Ma questo non deve sorprendere: come ho avuto occasione di affermare più volte, la Germania di oggi, democratica, aperta, multiculturale, è il frutto di un percorso lungo, complesso e sì, anche doloroso, in cui la coscienza politica e collettiva ha fatto più e più volte i conti con il proprio passato.

Tesserini di werk-ausweis che lavoravano presso AEG

Tesserini di werk-ausweis che lavoravano presso AEG

La struttura del Centro di documentazione del lavoro forzato nazista

Il Campo di Lavoro di Schöneweide (all’epoca conosciuto come Lager GBI 75/76) è l’unico di Berlino ad essere rimasto pressoché intatto da quanto, nel 1943, venne costruito sotto la direzione di Albert Speers, ministro e architetto del regime nazista. La struttura prevedeva un totale di 13 baracche (null’altro che costruzioni semplicissime in mattoni, degli stanzoni suddivisi internamente a seconda delle necessità e ricoperti da un tetto a doppia falda) oltre ad una caserma centrale. L’intero campo occupava un terreno di oltre 3 ettari non troppo lontano dal fiume Sprea.

Gli spazi che oggi sono adibiti a centro di documentazione e museale sono infatti stati recuperati utilizzando le baracche originali che ospitarono i lavoratori coatti (o Zwangsarbeiter, termine con cui venivano indicati).

Oggi è possibile visitare solo una parte di quello che era un grande campo, ed alcune delle baracche che ne facevano parte: alcune sono utilizzate come uffici del centro di documentazione, altre sono state in parte trasformate in sale espositive per mostre tematiche, fotografiche e documentali.

Se poi vi prendete la briga di aprire Google Maps e guardate in modalità panoramica l’area tra Britzer Straβe, Köllnischestraβe e Rudowerstraβe, riuscite ad individuare quale doveva essere la reale estensione del campo che prevedeva una postazione di comando centrale a forma di H e baracche disposte perpendicolarmente sui due lati. Oltre agli spazi fortunatamente preservati, le baracche che erano dal lato opposto all’ingresso del Centro oggi sono state in parte destinate ad altri usi, con l’eccezione della Baracca 13 che è possibile visitare con visita guidata.

In una Baracca, la n. 2, l’esposizione è dedicata a raccontare la vita quotidiana dei lavoratori, le loro condizioni di vita, la loro paura, attraverso fotografie e informazioni. Come già detto, i lavoratori forzati non erano trattati tutti allo stesso modo: coloro che provenivano dall’Est Europa erano soggetti alle condizioni peggiori, con minori libertà e possibilità di tempo libero.

Alla vita ed alle vicende degli internati militari italiani è invece dedicata un’intera Baracca, la n. 4, che ospita la mostra “Tra più fuochi“, con un excursus sulle vicende che portarono l’Italia dal regime fascista all’armistizio e vi sono esposti oggetti, foto, testimonianze di chi in queste baracche (o in simili baracche di altri campi) ci ha speso una parte della sua vita.

La Baracca 13, separata dalla struttura del Centro di documentazione, è tra le meglio conservate del complesso: c’è perfino un piccolo rifugio antiaereo. Nella baracca resistono iscrizioni in italiano dei lavoratori coatti, frasi che raccontano la nostalgia di casa, degli affetti.

Il Centro di documentazione sul lavoro forzato nazista in autunno

Il Centro di documentazione sul lavoro forzato nazista in autunno

Tra tutte, è interessante leggere i racconti degli ufficiali ospitati nei diversi campi presenti in Germania: a differenza dei soldati, per le  norme di guerra non potevano essere adibiti ai lavori coatti. Per lo più istruiti e colti, sono stati i testimoni più attendibili di giornate trascorse tra la rassegnazione e la speranza, la fatica e gli incubi.

Uno di loro, il capitano di artiglieria Mario Zipoli, da Prato, venne catturato in Francia e riuscì a scrivere di nascosto le sue memorie utilizzando una piccolissima agendina di pelle nera, che nascondeva nel sottofondo di un thermos o dietro una trave del gabinetto. I suoi ricordi sono poi diventati la base di un libro “Due Prigionieri, l’internato e il codirosso” (ed. Postcart) pubblicato a cura del figlio Riccardo Zipoli.

Quando abbiamo visitato il Centro di documentazione del lavoro forzato nazista di Schöneweide, in una uggiosa giornata di inizio novembre in cui il sole usciva a sprazzi dalle nuvole, con le foglie degli alberi oramai nella loro livrea autunnale, il campo non ci è apparso così cupo come forse doveva essere nel momento della sua massima attività.

Il silenzio, la potenza della memoria, il dettaglio degli avvenimenti ed ancor più delle testimonianze dei lavoratori coatti che nella galleria fotografica raccontano, grazie ai sistemi multimediali, le loro vicende, ce lo hanno proposto come un luogo di memoria consapevole, in cui far conoscere e preservare il ricordo di chi vi ha vissuto da internato. Molto intereressante la sezione sugli internati miliutari italiani e, non da meno, quella sulle donne lavoratrici coatte, spesso oggetto di molestie, stupri e costrette all’aborto quale strumento propedeutico alla selezione della razza.

Il campo di Schöneweide è classificato come monumento storico.

Percorso multimediale tra i lavoratori coatti

Percorso multimediale tra i lavoratori coatti

Maggiori informazioni sul Centro di documentazione sul lavoro forzato nazista di Schöneweide

Dove si trova e come arrivare

Il centro di documentazione del lavoro forzato nazista  si trova nel sobborgo berlinese di Schöneweide, oggi una propaggine residenziale della grande Berlino ed un tempo zona operaia non troppo distante dalle fabbriche che producevano componenti elettrici.

Dal centro di Berlino ci si arriva facilmente prendendo il treno S-9, lo stesso che attraversa la città da Ovest a Est e raggiunge l’aeroporto di Berlino Brandeburgo, con tante fermate nei luoghi turistici più conosciuti della Capitale tedesca (a titolo di esempio: Charlottenburg, Zoologischer Garten, Hauptbahnhof, Friedrichstraße, Alexanderplatz). Il tempo di percorrenza varia a seconda della stazione da cui si parte, in ogni caso calcolate tra un’ora ed i 30 minuti di viaggio (vi servirà un biglietto dei mezzi pubblici valido per le zone AB).

Una volta scesi dal treno alla stazione di Schöneweide, dovete attraversare la grande strada di scorrimento  e seguire i palazzi andando verso sinistra. Proseguite passando davanti all’edificio che ospita la biblioteca pubblica e dopo poche decine di metri vi troverete in Britzerstraβe. Non potete sbagliarvi: a destra, in mezzo ad un boschetto, c’è una chiesa evangelica con un’alta torre in mattoni scuri, che pare una fortezza medievale. Ancora pochi passi ed arrivate al cancello di ingresso del centro di documentazione del lavoro forzato nazista.

Altra alternativa per raggiungere il campo di Schöneweide è prendere il bus n. 165, con capolinea a Berlino presso la fermata metro del Märkisches Museum (nella zona di Mitte): noi lo abbiamo preso al ritorno da Schöneweide, fa un giro piuttosto lungo attraversando i sobborghi di Berlino e la foresta di Treptower Park ma se avete un po’ di tempo a disposizione è una buona alternativa per vedere luoghi interessanti normalmente al di fuori dei circuiti turistici.

Il lavoro coatto era vietato agli ufficiali

Il lavoro coatto era vietato agli ufficiali

Orari, costo, informazioni utili

  • L’ingresso al Centro di documentazione del lavoro forzato nazista è gratuito.
  • Il Centro è aperto dal martedì alla domenica (lunedì chiuso) dalle ore 10.00 alle ore 18.00. Controllate sul sito per eventuali modifiche, chiusure o aggiornamenti degli orari.
  • E’ possibile visitare il centro noleggiando una audio-guida (anche in italiano) ed acquistare il  catalogo dell’esposizione “Tra più fuochi”, con approfondimenti, saggi, testimonianze, fotografie inedite delle vicende degli internati militari italiani (esiste una edizione in tedesco/italiano).
  • Il sito ufficiale del Centro (sezione in italiano): https://www.ns-zwangsarbeit.de/it/home/

Un suggerimento per chi è interessato alla storia del XX° secolo o vuole approfondire le vicende che hanno coinvolto la Germania tra il 1933 ed il 1945.

Il campo di Schöneweide, in cui si trova il centro di documentazione del lavoro forzato nazista, può essere inserito come tappa in un ‘itinerario storico della memoria‘, che deve comprendere oltre alla Porta di Brandeburgo, al Bunderstag, alla Bebelplatz ed alla sua libreria che rammenta la vicenda del rogo dei libri del 1933, anche la mostra-memoriale Topografia del Terrore, il Memoriale dell’Olocausto, i memoriali in ricordo degli omosessuali, dei Rom e dei Sinti deportati nei campi di concentramento oltre al Campo di concentranento di Sachsenhausen: luoghi diversi che eppure fanno parte di una stessa, tragica storia, che è anche la nostra.

A chi consiglio la visita del Centro di documentazione del lavoro forzato nazista:

Forse non è una visita da fare la prima volta che si va a Berlino: è un luogo di memoria, che presupone un minimo di approfondimento storico per poter essere compreso nella sua interezza ed a mio parere è necessario conoscere prima la Berlino attuale – moderna, proiettata al futuro, aperta – prima di calarsi nei meandri della sua storia complessa e travagliata.

E’ tuttavia un luogo molto interessante, facilmente fruibile grazie alle mostre interattive e alle tante indicazioni in italiano, in questo senso è quasi una rarità a Berlino. Un luogo che mostra un aspetto poco conosciuto del regime nazista, in cui gli italiani sono stati ‘tra più fuochi’. Il fatto che sia gratuita, facilmente raggiungibile, aperta la domeica (una rarità a Berlino) e che le esposizioni sono organizzate al coperto, la rende valida per una veloce ‘gita’ culturale da effettuarsi anche con i ragazzi (per evitare che si possano annoiare, suggerisco la visita a partire dai 10 anni o comunque da quando hanno un minimo di conoscenza della storia contemporanea).

E se avete avuto nonni, zii, prozii fatti prigionieri e deportati in Germania dopo l’Armistizio come lavoratori coatti o internati militari italiani, se ne avete ascoltato i racconti, se vi interessa la storia, se volete capire il presente attraverso il passato, al Centro di documentazione del lavoro forzato nazista potrete trovare risposte e spunti di riflessione.

     

Claudia Boccini

Curiosa di novità e di tendenze sociali e culturali, il mio karma è il viaggio

0 Comments

No comments!

There are no comments yet, but you can be first to comment this article.

Leave reply

<