La paura da coronavirus e lo stile di vita

Scrivo questo post sapendo che non scalerà le classifiche di Google, ne’ che verrà ricercato per trovare informazioni utili, di viaggio e non. Ma ho il dovere di scrivere per me stessa, per cercare di chiarire pensieri che mi frullano in testa da quando è scattato il periodo di emergenza per la pandemia da coronavirus e che – in un modo o nell’altro – hanno influito sui miei comportamenti, sugli stati d’animo. Poi, prometto che, a meno di nuove emergenze, non tornerò più sull’argomento e riprenderò – spero con la stessa lena di prima- a scrivere di argomenti più leggeri e di utilità. D’altra parte, sono stati oltre 60 giorni che hanno stravolta la vita di ciascuno di noi e tenerne traccia ad imperitura memoria nel blog (che per me è anche il taccuino dove scrivo riflessioni personali) lo considero doverosa opportunità per analizzare miei comportamenti, paure e nuovi stili di vita dopo il coronavirus.

Sì, paure. Perché non ho timore di ammettere che questa emergenza mi ha messo addosso una paura incredibile, un senso di ansia mai vissuto prima, che in alcuni momenti ha sfiorato la patologia. Durante le prime due settimane di chiusura completa ho dovuto fare i conti con piccoli grandi malesseri ed attacchi di panico e claustrofobia: una pregressa bronchite con tosse che mi portavo dietro da gennaio – la solita, quella che tutti gli anni mi fa compagnia nei mesi invernali –  unita al rialzo della pressione da stress, alla mancanza di respiro e alle apnee notturne, ad un  fastidioso raffreddore che mi ha limitato gusto e olfatto mi hanno fatto seriamente supporre di essermi ammalata del maledetto virus (macché: è la mente che fa strani giochi psicosomatici e in fondo in fondo l’ipocondria è sempre dietro l’angolo).

Sapere che tutto era uguale eppure nulla era più come prima, la sensazione di costrizione e l’obbligo di restare a casa, contenere le uscite per fare la spesa (e sempre con mille precauzioni), limitare quanto più possibile i contatti umani mi ha portato a modificare completamente orari e ritmi biologici: la notte, soprattutto durante il primo mese, ho dormito pochissimo e sempre con le imposte aperte, quasi a trovare rassicurazione nelle luci della città, dopo essermi stordita con la lettura (andavo a dormire alle 3 di notte  per svegliarmi al massimo alle 6 del mattino!).

(qui sotto puoi leggere il post su come fare la spesa al tempo del coronavirus)

Come proteggersi per fare la spesa al tempo del Covid19

E quante volte mi sono alzata nel cuore della notte per spalancare le finestre e cercare di respirare l’aria che mi sembrava mancare, quanto tempo ho passato davanti alla finestra aperta, nonostante a marzo fosse ancora  freddo!  Qualcuno ha paragonato il lockdown e la necessità di restare a casa agli arresti domiciliari. Vero. Ma con una differenza: il detenuto sa quando ci sarà il ‘fine pena’, ed anche il ‘fine pena mai’ degli ergastolani è comunque una certezza, mentre tutti noi eravamo in balia degli eventi e dei contagi, con una totale mancanza di prospettiva. E forse è questa la sensazione che più ha inciso sul mio stato d’animo.

Ho perso il senso del tempo, ogni giorno uguale all’altro se non per i bollettini sanitari delle 18.00, diventati l’elemento taumaturgico attorno a cui ruotava tutta la giornata, litania di morti e contagi da ascoltare fino in fondo per poi lasciarsi andare ad un sospiro di sollievo perché tra quegli uomini e donne orribilmente trasformati in numeri non c’ero io e nemmeno i miei cari. Egoismo da sopravvivenza, come altro chiamarlo?

In tutto ciò ho avuto la fortuna di avere accanto Francesco, che è un uomo avulso da sentimentalismi ma molto solido e pratico, capace di sdrammatizzare con un pizzico di ironia tante situazioni che altrimenti avrei gestito malissimo. Va detto: la condivisione degli spazi di casa e trascorrere insieme per tanto tempo ogni momento della giornata per il nostro rapporto di coppia poteva essere una bomba ad alta deflagrazione, siamo riusciti a disinnescarla grazie all’ironia e ad una non scontata complicità.

Abbiamo sorriso dei piccoli imprevisti, cucinato insieme pietanze talvolta improponibili, ci siamo dati al giardinaggio in balcone, alla riorganizzazione di spazi domestici e manutenzione intensiva della casa. Abbiamo perfino fatto piccoli video ‘familiari’, in cui abbiamo giocato a prenderci bonariamente in giro. Anche se sono 19 anni che viviamo insieme, questi mesi difficili ci hanno permesso di conoscerci meglio. E, forse, ci siamo vicendevolmente scoperti migliori – e nonostante qualche screzio, più pazienti – di quello che immaginavamo.

(qui sotto, il post che ho scritto durante la fase 1 dell’emergenza da coronavirus)

Le conseguenze del coronavirus: perché mi preoccupo

Inutile dire che il cibo ha avuto un ruolo importante nel riuscire a sopportare la clausura obbligata: al diavolo tutte le diete, per più di 60 giorni la nostra alimentazione – come quella di gran parte degli italiani – è stata calorica e confortante. Il cibo è stato una panacea della paura, un ancestrale viatico e un’offerta liturgica alla sopravvivenza: abbiamo recuperato le opulente ricette della tradizione e siamo stati  terribilmente attenti a non sprecare nulla, nemmeno una briciola. Abbiamo riciclato ed utilizzato avanzi, preparato pizze e dolci, dato spazio a grandi zuppe di legumi e ci siamo abituati a fare merenda e a bere il tè delle cinque, per scandire un tempo altrimenti sempre uguale.

Passati i primi giorni di totale stress ed ansia, alla fine le giornate hanno preso un’andamento tranquillo e senza grandi scossoni, cadenzate da attività ripetitive: lunghe ore dedicate al lavoro, il tempo per cucinare, quello per leggere, le attività domestiche. Un po’ di televisione, un po’ di musica, ho perfino recuperato un lavoro all’uncinetto che mi porto dietro da anni e che ora ho quasi terminato. Tante piccole abitudini che hanno il potere di creare punti di riferimento, che rassicurano e creano routine, inventando nuove effimere certezze.

(qui sotto puoi leggere il mio post sullo smart-working al tempo del coronavirus)

Come organizzare il lavoro in smartworking

Abbiamo scoperto che è possibile essere essenziali, anche nell’abbigliamento e nei bisogni. Una tuta, due paia di pantaloni, una felpa e qualche maglietta sono tutto ciò che occorre per stare bene con se stessi e con gli altri. Non servono troppe cose per essere felici e la quantità non sempre è abbondanza. Complici gli acquisti compulsivi dei tempi normali, ci siamo resi conto che con le scorte che ci sono in casa avremmo potuto evitare di fare acquisti per i prossimi due anni e che la sobrietà è un valore da apprezzare anche in tempi di consumismo.

In tutto ciò, quello che prima mi faceva stare bene, come scrivere qui sul blog, è venuto un po’ meno. Non perché – come mi ha detto con un pizzico di malizia un collega di ufficio – “in questo periodo in cui non si può viaggiare avere un blog di viaggi fa strano”, quanto perché non avevo la necessaria concentrazione e il distacco per farlo. Non avevo testa e  anche se non ho proprio smesso, rispetto ai miei standard (minimo 5 post a settimana) ho rallentato tanto. Per fortuna (forse) sto recuperando, segno che inizio a stare meglio.

In compenso, ho ritrovato una grande passione, la lettura. Sono sempre stata una lettrice vorace, ricordo lunghe estati a Follonica dove preferivo non andare al mare (e se andavo, era solo per buttarmi su una sdraio in compagnia di un libro) per poter leggere un romanzo dopo l’altro. Perché io non sono contenta se un libro se non lo finisco subito, mi immergo totalmente nella narrazione, nella storia, vivo con gli occhi della fantasia le scene che vi vengono descritte, divento io stessa parte dell’ambientazione.

Ho letto davvero tanto, in questi giorni, anche grazie all’abbonamento gratuito al Kindle Store di Amazon: poter scaricare libri da leggere come se non ci fosse un domani ad un costo piccolo (9,99€ al mese), è entusiasmante. Ho letto un po’ di tutto e non mi vergogno a dire che ho scoperto i romanzi ambientati nell’Inghilterra del 18° e 19° secolo ambientati in epoca georgiana, regency e vittoriana, in cui si mescolano storie d’amore, ambientazioni storiche, colpi di scena degni di un thriller. Letture leggere, sempre a lieto fine, perché in questi giorni strani poter contare su un lieto fine era fondamentale! Per dire: non sarei riuscita a leggere i miei amati autori giapponesi, i cui libri non sempre aprono le porte alla speranza.

Aver rivoluzionato le abitudini ed i tempi della quotidianità mi ha concesso la possibilità di ripercorrere con la mente gli itinerari di viaggio ed i luoghi turistici  visitati negli ultimi tempi, facendo emergere dettagli che la memoria aveva accantonato per far subito spazio a ulteriori, successivi viaggi. Sono una viaggiatrice ed una turista bulimica, quasi compulsiva e con l’arrivo della chiusura obbligata a casa mi sono resa conto – anche qui – che less is better, ovvero che meno è meglio. Meglio viaggiare meno (senza esagerare, eh!) e approfondire di più. Dare il giusto tempo alle esperienze di viaggio per interiorizzarle correttamente, farle diventare parte del vissuto personale ed essere qualcosa di più di una bandierina appuntata sulla mappa geografica.

E voi, cari amici che leggete, come avete trascorso i vostri mesi di ‘chiusura’ obbligata? Qual è stato il momento più difficile e quello più bello?

(post con link in affiliazione con Amazon)

Claudia Boccini

Curiosa di novità e di tendenze sociali e culturali, il mio karma è il viaggio

0 Comments

No comments!

There are no comments yet, but you can be first to comment this article.

Leave reply

<