Visitare il Santa Maria della Pietà

Visto sulla mappa di Google, dall’alto, assomiglia ad un fiore: un grande cerchio con petali più o meno simmetrici  che si sporgono verso l’esterno, al centro arabeschi e volute eleganti. Ed è stata la sua forma ad incuriosirmi ed a costringere Francesco ad accompagnarmi a visitare il Santa Maria della Pietà, già ospedale psichiatrico di Roma. Il manicomio, insomma.

Una vera e propria città della pazzia ampia 130 ettari, in funzione fino a poco meno di trenta anni fa ed in grado di ospitare oltre mille pazienti contemporaneamente, anche se nei momenti di massimo affollamento ci furono più di 2.600 degenti. Era suddiviso in numerosi padiglioni ed edifici ospedalieri – oltre 40 – circondati da boschetti e giardini pieni di essenze arboree che non avevano nulla da invidiare a quelle dell’orto botanico: pini, eucalipti, querce, palme, sequoie, tigli e anche l’albero della canfora.

La sua urbanistica era quasi piacevole, con vialetti e piazze abbellite da fontane, ma sempre un manicomio era, e non era certo un bel posto dove vivere, reclusi nel fisico e abbandonati nella psiche. I matti erano un bubbone della società, un escrescenza da estirpare alla vista delle ‘persone per bene’ rinchiudendoli in luoghi di contenzione, persone senza più una storia.

Chi soffriva di malattie psichiatriche o comunque finiva al manicomio (perché non ci finivano solo i matti, purtroppo, ma lo vedremo più avanti), veniva marchiato per tuta la vita e la sua condizione veniva addirittura annotata nel casellario giudiziario, quale che essere matti, avere problemi psichici, fosse una colpa da espiare.

Visitare il Santa Maria della Pietà: i padiglioni e i murales

Visitare il Santa Maria della Pietà: i padiglioni e i murales

Visitare il Santa Maria della Pietà ci ha costretto, tra una piacevole passeggiata tra i boschetti ombrosi ed uno scatto fotografico ai murales che hanno preso possesso di alcuni dei vecchi padiglioni, a fare il conto con una realtà che abbiamo dimenticato, obliando con essa anche le migliaia di uomini e donne (e bambini!) che in questi spazi ci hanno vissuto.

La storia dell’Ospedale psichiatrico

Quando il 31 maggio 1914 viene inaugurato ufficialmente  dal Re Vittorio Emanuele III,  l’Ospedale Psichiatrico di Santa Maria della Pietà si trovava in aperta campagna, nella località Sant’Onofrio non lontano da Monte Mario e distante dal centro cittadino, più di 6 chilometri. Il caos ed il traffico della Via Trionfale erano ben lontani a venire!

Il nuovo manicomio prendeva il posto del vecchio e sovraffollato ospizio di Via della Lungara (a Trastevere), a sua volta subentrato al piccolo Hospitale de’ poveri, forestieri et pazzi dell’Alma Città di Roma aperto dalla Confraternita di Santa Maria della Pietà nel monastero di Santa Caterina dei Funari prima e a Piazza Colonna poi.

L’ ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà era un nosocomio enorme, il più grande d’Europa con gli oltre trenta padiglioni che ne costituivano il complesso insieme al grande edificio della direzione generale (ha una sua bellezza liberty) e ai locali di servizio.

L’Ospedale era parzialmente autosufficiente, perché comprendeva una tenuta agricola in cui venivano allevati animali da cortile e coltivato il grano: vi lavoravano alcuni degli stessi pazienti, quelli più miti e che creavano meno problemi, detti anche i ‘malatini’. Facevano poi parte dell’ospedale servizi come la falegnameria, le cucine, l’officina, il forno ed ovviamente la chiesa.

I pazienti

A differenza della moderna concezione psichiatrica, al Santa Maria della Pietà i pazienti non erano suddivisi per patologia (in modo da poter essere curati in modo omogeneo ed efficiente) ma erano semplicemente suddivisi per tipologia di comportamento, di modalità di relazione con gli altri: c’erano i padiglioni destinati ai tranquilli, quelli dei ‘malatini’, quelli in cui erano rinchiusi coloro che non avevano cura di se stessi (i ‘sudici’).

In altri, ben sorvegliati, venivano relegati i violenti, gli agitati, chi doveva essere sorvegliato con attenzione – e fin troppo spesso contenuto con cinghie – per evitare che facesse del male a se stesso e agli altri. C’era anche una sezione dedicata al manicomio criminale, più isolata rispetto agli altri padiglioni e chiusa all’interno di mura alte quattro metri: una prigione nella prigione.

Ogni padiglione era un mondo a sé da cui i pazienti – rigorosamente suddivisi per sesso –  potevano uscire solo in casi eccezionali, in rarissime occasioni legate a feste religiose o, appunto, per lavorare nella colonia agricola o nei servizi dell’Ospedale.

Non erano previsti percorso di cura e di terapia occupazionale, men che meno momenti di socializzazione strutturati: i malati erano per lo più  lasciati a se stessi, a riempire di noia giornate tutte uguali, trascinandosi dalle enormi camerate che ospitavano i letti ai saloni dove le ore scorrevano lente, tra urla, gemiti, stati allucinati e gesti di autolesionismo ed i medici e gli infermieri avevano più un compito di vigilanza che di assistenza.

Quasi inutile ricordare che, tra le procedure mediche praticate almeno fino all’avvento delle nuove teorie di Basaglia, e della Legge 180 del 1978, vi era quella atroce barbarie  dell’elettroshock, utilizzato per ‘curare’ e calmare i malati.

Finire in manicomio era assai meno difficile di quanto si possa immaginare: si veniva ricoverati perché si davano segni di squilibrio, perché non ci si adeguava al comune senso civico, perché bastava un certificato medico che attestasse uno stato di pericolosità per se stessi o per gli altri.

Venivano internati anche gli anziani dementi, chi tentava il suicidio, gli schizofrenici, perfino gli epilettici. E non era infrequente la presenza di bambini, tant’è che vi erano padiglioni appositamente dedicati. Riuscite ad immaginare la sensazione di abbandono che poteva  provare un bambino lasciato a se stesso in una struttura manicomiale? Da far venire davvero i brividi!

Anche se oggi il Santa Maria della Pietà è un luogo piacevole, utilizzato dai cittadini per praticare sport, andare in bici, riposarsi e alcuni padiglioni sono stati restaurati e riconvertiti in uffici del Municipio o in centri medici, nell’aria resta – vuoi per la suggestione di trovarsi in un luogo ‘difficile’, vuoi per i numerosi edifici abbandonati o comunque bisognosi di un vigoroso restauro –  una latente sensazione di struggente disperazione che finisce per entrare nell’animo.

E’ un luogo in cui la bellezza aspra del luogo diventa memoria del passato doloroso, c’è un qualcosa di non detto e di incredibilmente potente che si trascina dietro le storie dei ‘pazzi’. Una pazzia lo stesso Ospedale, con ciò che resta degli edifici sospeso tra la perfezione dell’architettura e la melma densa delle vite che li hanno abitati.

Il Museo Laboratorio della Mente

Nella passeggiata insolita per visitare l’Ospedale Santa Maria della Pietà, ci siamo imbattuti in un padiglione con all’esterno dei murales bellissimi (successivamente ho scoperto che sono opera di Gomez de Teran, lo stesso artista che ha dato vita a La Miniera d’Oro di Marcellina): è il padiglione n. VI dove, dal 2000, è ospitato il Museo-Laboratorio della Mente, museo del disagio psichico che ripercorre la storia del manicomio di Roma ed ospita un archivio audiovisivo e numerose testimonianze video di persone che hanno vissuto al Santa Maria, inclusi alcuni ex pazienti. Per visitare il museo è bene telefonare (06 6835.2982) per conoscere gli orari ed i giorni di apertura.

Visitare il Santa Maria della Pietà: i murales

Non si può visitare il Santa Maria della Pietà senza essere piacevolmente colpiti dai tanti murales che oggi abbelliscono i muri dei vecchi padiglioni.  Gomez de Teran ha lasciato la sua impronta su diversi padiglioni e si tratta di affreschi riconoscibilissimi, realistici, il cui la malattia si trasforma in bellezza a cui, in alcuni casi, hanno collaborato alla realizzazione i pazienti delle strutture riabilitative ancora operanti nel complesso ospedaliero. Tra le opere presenti: Le cose che non si vedono; Le voci degli amanti. Un affresco molto bello è Bimba pensante di Tina Loiodice, da segnalare anche Violetta Carpino con il suo Ascolto Fetale, la street art di Jerico (La grande quiete).

Informazioni utili

Per visitare il Santa Maria della Pietà (Piazza Santa Maria della Pietà, 5) si può prendere a  il trenino della Roma Viterbo – FM3, che parte dalla Stazione Ostiense ma passa anche per la Stazione di Trastevere; altrimenti ci arrivano alcuni mezzi urbani dell’Atac, con fermata vicino al complesso ospedaliero (46 da Piazza Venezia, poi 49, 546, 911, 912, 913,916, 990).

Se vi interessa la street art romana, può essere utile prenotare il tour della street art di Roma del complesso condominiale di Tor Marancia sul portale di Civitatis: un’ora e mezza di visita e di comprensione di quella che, a tutti gli effetti, è oramai arte ver e propria.

Claudia Boccini

Curiosa di novità e di tendenze sociali e culturali, il mio karma è il viaggio

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